La Leggenda della Maga Sibilla e le Fate dei Monti Sibillini
Alcune Fate, un tempo, erano considerate ancelle della Maga Sibilla (Alcina), l’Oracolo degli Appennini, e non erano totalmente benevole come la Maga stessa, che veniva appunto chiamata la Maga delle Fate. Leggiadre fanciulle di gradevole aspetto, esse vivevano nella Grotta della Sibilla, comunemente denominata la Grotta delle Fate, e costituivano la sua stessa corte.
La grotta era un antro che dava accesso ad un regno sotterrano pieno di meraviglie, di lusso ed agi, dove vivevano queste bellissime e raffinate fanciulle che venivano viste, dalla popolazione locale, come delle Fate. Esse uscivano solo di notte e rientravano sempre all’alba, su ordine della Maga, per non essere escluse da questo mondo incantato.
La Grotta della Sibilla esiste ancora, si trova sul versante del Monte Sibilla ad un’altezza di circa 2000 metri ma non è accessibile, non è possibile vederla né visitarla. Rifugio e prigione della Sibilla, ella non poteva uscire dalle profondità della montagna poiché condannata da Dio a restarci fino al Giudizio Universale, al fine di scontare il suo grave peccato: quello di voler diventare la madre dello stesso Cristo.
Le diverse varianti della leggenda, infatti, attribuiscono differenti aspetti alla Maga. Dapprima Fata buona, veggente e profetessa, detentrice di tutte le conoscenze, dall’astronomia alla medicina, era dispensatrice di profezie e responsi utili all’Umanità, e poi Maga incantatrice e diabolica: si dice che rapiva gli uomini troppo audaci o li trasformava in pietra, se essi si azzardavano a seguire le sue ancelle lungo i dirupi del monte.
Secondo le leggende tramandate nella zona dei Sibillini, tra il Monte Vettore e il Monte Sibilla, le sue ancelle (Fate Scintillanti, come vengono chiamate a Pretare) solevano scendere nottetempo nelle valli, per danzare con i giovani ed avvenenti pastori locali, rispettando scrupolosamente il rituale di ritirarsi sui monti prima che il sole sorgesse. Insuperabili nell’insegnamento delle arti femminili alle giovani fanciulle del luogo, per secoli hanno inondato con le loro danze le valli dei Monti Sibillini, i monti velati d’azzurro, come poeticamente li descrive il Leopardi.
Ancora oggi, in quei luoghi esiste il detto “Quanto sono belle queste Fate, ma jè scrocchieno li piedi come le capre”, in quanto si diceva che vestivano con lunghe gonne da cui spuntavano zampe simili a quelle delle capre, forse per muoversi agilmente sui pendii delle irte montagne. E, tuttora, si è convinti che queste Fate esistano e che, durante i pleniluni, scendano dai monti per danzare alla luna.
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